Come funziona il digiuno intermittente? Dovremmo tutti, regolarmente, sottoporci ad un digiuno intermittente?

Secondo Mark Mattson, neuroscienziato della Johns Hopkins University, sì, come riportato in una recente review sull’argomento, pubblicata sul New England Journal of Medicine (de Cabo and Mattson, 2019).

Nel lavoro, insieme al collega Rafael de Cabo,  fa il punto sui risultati dei più importanti studi preclinici e clinici dedicati ai benefici della restrizione calorica (CR, caloric restriction) in generale e del digiuno intermittente (IF, intermittent fasting) in particolare.

In questo articolo, parlando dell’IF, prenderemo in considerazione due tipologie diverse di protocollo dietetico, che però si basano, sostanzialmente, su meccanismi molecolari, biochimici e fisiologici molto simili a quelli proposti per la dieta mima-digiuno:

  • il digiuno a giorni alterni, che prevede una significativa restrizione calorica uno o più giorni a settimana: un esempio, il più studiato, è il cosiddetto regime alimentare 5:2, ovvero due giorni di digiuno, o quasi-digiuno (500-700 kcal al giorno), a settimana;

  • l’alimentazione (cronologicamente) limitata nel tempo, ovverosia nelle 24 ore giornaliere, per cui si raccomanda di mangiare in una certa “finestra” temporale e lasciare l’organismo a digiuno per la restante parte della giornata. In questo senso, il regime più comune, proposto e studiato, è quello cosiddetto 16:8, in cui viene consigliato di mangiare in un periodo di non più di otto ore, per rimanere a digiuno nelle altre 16.

Perché vengono proposti questi schemi dietetici giornalieri/settimanali?

Presupposti biochimici e fisiologici

Gli zuccheri (glucosio) e i grassi sono le due fonti principali con cui le cellule del nostro organismo si riforniscono di energia. Dopo un pasto “medio”, viene utilizzato principalmente il glucosio mentre i grassi vengono depositati nel tessuto adiposo sotto forma di trigliceridi.

Nei periodi di digiuno, invece, i trigliceridi vengono trasformati in acidi grassi liberi e glicerolo e utilizzati per soddisfare i fabbisogni energetici della cellula.

Il fegato converte gli acidi grassi in corpi chetonici che forniscono energia alle cellule soprattutto in periodi prolungati di digiuno.

In condizioni “normali”, non di digiuno, i livelli plasmatici di corpi chetonici sono inizialmente bassi; dopo 8-12 ore dall’inizio del digiuno aumentano gradualmente, fino ad arrivare a valori “elevati” dopo circa 24 ore.

L’organismo utilizza in maniera consistente i corpi chetonici come carburante principale per la maggior parte degli organi, a partire dal cervello.

Questo cosiddetto “switch metabolico”, attivato periodicamente, comporterebbe una serie di benefici per la salute dal momento che i corpi chetonici rappresentano anche potenti molecole di segnale per diversi fattori-chiave (PGC-1alfa, NAD+, fattori di crescita dei fibroblasti, sirtuine ecc.), regolatori di importanti processi metabolici. In base a queste considerazioni, quindi, questo tipo di protocolli dietetici propongono fasi di digiuno di almeno 12-14 ore.

Digiuno intermittente: i benefici

Molti studi sugli animali e alcuni, seppur in numero molto inferiore, anche sull’uomo sembrano evidenziare che molti degli effetti benefici del digiuno intermittente non siano solo il risultato dovuto alla perdita di peso o alla ridotta produzione di radicali liberi, come si pensava alcuni anni fa.

Il digiuno intermittente promuoverebbe risposte cellulari adattive, conservate a livello evolutivo, che sono integrate tra di loro all’interno di ciascun organo e anche tra i diversi organi: si pensa che questa “rete” di risposte cellulari possa favorire la regolazione del glucosio, aumentare la resistenza allo stress, e ridurre i processi infiammatori.

Durante le fasi di digiuno, le cellule attivano vie metaboliche che stimolano le difese “intrinseche” (proprie) dell’organismo nei confronti di stress metabolici e ossidativi e quelle che favoriscono la rimozione (autofagia) e/o la riparazione delle molecole danneggiate; dopo i pasti, invece, le cellule si orientano verso vie metaboliche che favoriscono processi anabolici e plastici.

Allungamento della vita

Nonostante l’ampiezza degli effetti del digiuno intermittente sull’allungamento della durata della vita degli animali sia variabile, influenzata com’è da molteplici fattori (sesso, dieta, fattori genetici ecc.), gli studi sugli animali, dai roditori alle scimmie, mostrano un effetto consistente, positivo, della restrizione calorica sulla durata della vita e sullo stato di salute in generale. 

Sovrappeso e obesità

Negli ultimi anni, ci sono alcune evidenze su come il digiuno intermittente possa modificare i fattori di rischio (regolazione del glucosio, pressione sanguigna, frequenza cardiaca) associati a obesità e diabete. Secondo Mattson, e anche diversi altri ricercatori nel mondo, l’attivazione di questo “switch metabolico” è in grado di migliorare sia il controllo della glicemia così come una resistenza “generica” allo stress, riducendo al contempo i livelli di infiammazione tissutale per diversi periodi di tempo.

C’è da dire che al momento, per quanto riguarda il sovrappeso/obesità, non sembra esserci un reale vantaggio nel seguire un digiuno intermittente rispetto ad una dieta ipocalorica con una riduzione delle calorie assunte in maniera “classica”, cioè con i 3 pasti principali e gli spuntini.

Funzioni cognitive

Secondo alcune ricerche recenti, potrebbe intravedersi un ruolo del digiuno intermittente anche sul miglioramento delle funzioni cognitive: i dati preclinici, condotti quindi su modelli animali, forniscono dati positivi circa il ruolo del digiuno intermittente sia nell’Alzheimer che nel Parkinson; tuttavia, al momento, mancano studi sull’uomo che possano fare chiarezza e dare delle conferme in tal senso. I dati, quindi, al momento devono essere considerati preliminari. 

Tumori

Molti studi su modelli animali (roditori in particolare), condotti negli ultimi anni, hanno messo in evidenza come sia il digiuno intermittente sia la restrizione calorica possano ridurre l’insorgenza di tumori durante gli anni di vita degli animali e sopprimere anche la crescita di alcuni tipi di tumore indotti forzatamente oltre a migliorare la risposta alla chemioterapia e radioterapia.

Si pensa che il digiuno intermittente possa alterare i processi energetici delle cellule cancerose, inibendone la crescita e rendendole più suscettibili ai trattamenti farmacologici.

I meccanismi coinvolti potrebbero essere la riduzione dei segnali ai recettori dell’insulina e dell’ormone della crescita oltre ad alterare, in maniera positiva, la presenza di fattori specifici (FOXO, NRF2) che rivestono un ruolo chiave nella proliferazione del tumore.

Gli studi clinici sull’uomo, al momento, hanno indagato soprattutto la compliance (“accettabilità”) da parte del paziente dei protocolli di digiuno intermittente, la comparsa di eventuali effetti collaterali e la caratterizzazione di alcuni biomarkers. Al momento, è quindi prematuro pensare ad un’applicazione generalizzata di specifici protocolli di digiuno intermittente per i diversi tipi di tumore. 

Criticità e conclusioni

Sulla base della letteratura, e come anche secondo quanto scritto dagli autori dell’articolo citato in apertura, si potrebbe prendere in considerazione, in tempi relativamente brevi, l'aggiunta del digiuno intermittente o della restrizione calorica “periodica”, come prevista dal prof. Longo, sia in condizioni fisiologiche che in caso di specifiche patologie. Soprattutto se la ricerca futura dovesse confermare i dati fin qui ottenuti.

Ci sono però una serie di difficoltà pratiche nell’attuare questi programmi, con possibili ripercussioni psicologico-comportamentali, per la persona che intenda seguirli, non facilmente definibili né tantomeno prevedibili:

  • innanzitutto, non è facile cambiare le nostre abitudini dietetiche – almeno non per tutti – in particolare quella di fare tendenzialmente tre pasti al giorno, intervallati magari da spuntini e merende;

  • cominciare a seguire un digiuno intermittente può produrre, almeno inizialmente, diversi sintomi e sensazioni non favorevoli (irritabilità, fame, difficoltà di concentrazione) che generalmente tendono a scomparire ma che potrebbero portare, magari in soggetti predisposti, a “condizionamenti” di tipo comportamentale e psicologico o, peggio, a disturbi del comportamento alimentare;

  • la maggior parte dei clinici non è adeguatamente preparata per seguire, dal punto di vista nutrizionale, i pazienti e arrivare all’obiettivo di 16-18 ore di digiuno al giorno, magari per gradi e nell’arco di diverse settimane o mesi, come prospettato dagli autori favorevoli a questo tipo di schemi dietetici: per fare un esempio, in questi protocolli si può cominciare con un solo giorno a settimana di relativamente modesta riduzione calorica, per poi passare a due giorni e/o aumentare il deficit calorico per uno o due giorni;

  • dal momento che la proposta di nuovi stili alimentari accende subito un eccessivo, e spesso ingiustificato, ”entusiasmo mediatico”, è comunque fondamentale evitare il “fai da te” anche con questi protocolli dietetici che comunque sono supportati da una letteratura scientifica sostanzialmente favorevole: il nutrizionista riveste un ruolo cruciale nell’inquadramento clinico, nella stesura del programma dietetico, nell’informazione al paziente e nel monitoraggio del protocollo.

 

Iacopo Bertini: Biologo Nutrizionista, PhD, Erborista

Vicepresidente Associazione Italiana Nutrizionisti

 

Bibliografia essenziale

Anton SD, Moehl K, Donahoo WT, et al. Flipping the metabolic switch: understanding and applying the health benefits of fasting. Obesity (Silver Spring) 2018; 26: 254-68.

de Cabo R and Mattson MP. Effects of Intermittent Fasting on Health, Aging, and Disease. N Engl J Med. 2019;381(26):2541–2551.

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Mattson MP, Moehl K, Ghena N, Schmaedick M, Cheng A. Intermittent metabolic switching, neuroplasticity and brain health. Nat Rev Neurosci 2018; 19:63-80.

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